Le origini
Durante l’età del bronzo (III-II millennio a. C.), alcuni popoli di origine indoeuropea si stanziarono lungo le coste del Mar Baltico, provenienti dall’Asia centrale. Oltre al territorio delle attuali Lituania e Lettonia, queste genti abitarono la Russia occidentale, la Bielorussia, la Polonia, fino ai territori ad ovest del fiume Oder, a sud-ovest della Finlandia e a sud-est della Svezia. Unendosi con le popolazioni indigene, le cui tracce in Lituania risalgono al X millennio a. C., diedero origine ai popoli Baltici. Questi ultimi sono stati suddivisi dagli studiosi in due gruppi principali: i “balti marittimi” ovvero i prussiani, i curioni, i golindi occidentali e i “balti continentali”, progenitori dei lituani, dei lettoni e dei golindi orientali. Tra il III e il IV secolo d.C. i baltici subirono le invasioni prima dei goti e poi degli unni, ma fu la massiccia migrazione slava del IV secolo che li spinse definitivamente verso la costa, dove sono rimasti fino ad oggi. Attraverso il commercio dell’ambra e della “ceramica a cordicelle”, di cui erano ottimi produttori, questi popoli strinsero contatti con gli abitanti dell’Europa occidentale e meridionale; i fenici, i greci e i romani, furono i loro principali interlocutori. Molto importanti furono anche i rapporti con le popolazioni di ceppo ugro-finnico, le cui tracce sono tuttora presenti sia nella lingua lettone sia in quella lituana. Secondo alcuni archeologi, i finni furono addirittura i primi abitatori del Baltico orientale, per poi ritirarsi verso la fine del primo millennio in Estonia e in Finlandia a causa dell’arrivo degli indoeuropei.
Il medioevo e le crociate
Le crociate organizzate nel XIII secolo dai Cavalieri Teutonici contro gli ultimi pagani d’Europa, provocarono l’effettivo ingresso nella storia dei popoli baltici, fino ad allora rimasti complessivamente isolati nei loro territori. Il nome “Lituania” era stato menzionato per la prima volta in alcuni testi datati 1009 d.C. ma fu appunto nel XIII secolo che il Duca Mindaugas riunì alcune contee e ducati sotto il nome di “Gran Ducato di Lituania” (1240), per respingere l’invasione dei crociati dell’Ordine Teutonico e dei Cavalieri della Spada.
Chiamati in modo spregiativo ” saraceni del nord “, i baltici erano da sempre vissuti divisi in molte tribù diverse, spesso anche in conflitto tra loro (ad esempio i samogiti, gli yatovingi, i curioni ecc.) ma si accorsero che questa era la loro debolezza. Le guerre contro i crociati furono particolarmente cruente, tanto che l’intera stirpe dei prussiani fu praticamente distrutta.
Nel 1251 Mindaugas si convertì comunque al cristianesimo e nel luglio del 1253 fu incoronato re dei Lituani, dopo aver sconfitto l’ordine a Siauliai ed essersi alleato con Aleksandr Nevskij, principe di Novgorod. La conversione di Mindaugas e la creazione del vescovato di Lituania servirono solo in parte a mitigare la pressione teutonica su quei territori e, quando il re morì nel 1263 e il suo successore Treniotas ripristinò i culti pagani, la guerra riprese violentemente.
Nel XIV secolo, nonostante i conflitti lungo i confini occidentali, il Gran Ducato si ingrandì espandendosi verso est e sud-est raggiungendo il Mar Nero ed annettendo il Ducato di Smolensk. Nel 1316 aveva preso il potere il Gran Duca Gediminas, destinato a diventare uno dei personaggi più importanti della storia lituana. Gediminas riprese le trattative con il Papa e fece numerosi tentativi per convertire la sua terra al cristianesimo, fondò la capitale Vilnius (1323) e potenziò lo stato soprattutto dal punto di vista militare.
Dopo la sua morte (1341), la Lituania subì l’intensificarsi della pressione dell’Ordine Teutonico, nonostante le imprese dei fratelli Algirdas e Kestutis eredi della dinastia degli Jagelloni. Il figlio di Algirdas, Jogaila, che aveva avuto la meglio nei confronti del cugino Vytautas, erede di Kestutis, nella lotta tra i due per il potere, nel 1386 sposò la regina Edvige di Polonia e diede vita alla Confederazione lituano-polacca. Si fece quindi battezzare a Cracovia, divenne re con il nome di Ladislao II e nel 1387 proclamò la conversione della Lituania al cristianesimo.
Vytautas aumentò intanto il suo potere nel Gran Ducato, minacciando altrimenti di allearsi con l’Ordine Teutonico. Tuttavia, nel 1410, insieme agli alleati polacchi sconfisse definitivamente i Cavalieri Teutonici nella celebre battaglia di Tannenberg (Zalgiris in lituano), ponendo fine per secoli all’espansionismo tedesco in questa parte dell’Europa. Trentamila polacco-lituani ebbero la meglio su oltre ventimila cavalieri crociati, giunti fin qui da ogni parte dell’Europa.
Al margine della battaglia di Tannenberg avvenne una vicenda singolare, della quale gli storici non hanno ancora risolto il mistero. Il giorno dopo la disfatta tedesca il re Ladislao Jagellone ordinò ai suoi uomini di raccogliere tutte le insegne, le bandiere e i vessilli degli sconfitti. Quelle insegne, dopo la firma della pace, furono portate nella cattedrale di Wawel a Cracovia e poste all’interno della cappella di San Stanislao, dove rimasero fino al 1603.
Da allora se ne sono perse le tracce. Per fortuna nel 1448 un pittore polacco chiamato Stanislao Durink ricopiò su pergamena 56 di quelle insegne, completando l’opera con didascalie e spiegazioni sulla loro appartenenza. Il suo album è diventato così una preziosissima fonte storica e araldica ed è conservato ancora oggi nella biblioteca dell’università di Cracovia; mentre nessuno sa che fine fecero le insegne originali dei crociati tedeschi.
La repubblica dei due popoli
Per tutto il resto della sua vita (morì nel 1430), Vytautas tentò di trasformare la Lituania da Gran Ducato a regno indipendente, equiparandola alla Polonia con cui si era federata e della quale era ormai più grande per dimensioni e popolazione, ma non riuscì mai nel suo intento.
Dopo la sua morte, la Lituania attraversò un periodo difficile, pressata ad est dalla Russia, ad ovest dalla Prussia e a nord dalla Svezia, fino a quando, nel 1569, Sigismondo II Augusto firmò l’Unione di Lublino con la Polonia, che decretò di fatto la fine dell’indipendenza politica lituana. Nacque quella “Repubblica dei due popoli” che durerà fino al 1795, costringendo i lituani a rinunciare a molte delle loro prerogative. Il polacco divenne la lingua ufficiale della Confederazione e le ultime tracce del paganesimo lituano si estinsero definitivamente.
Nella seconda metà del Cinquecento il regno polacco-lituano si estese dall’ Oder fino all’Ucraina e alla Livonia e dalla catena dei Carpazi fino a Riga. Lo stato venne organizzato sotto forma di “repubblica nobiliare”, dove il re era affiancato nel governo da rappresentanti dell’alta aristocrazia (i magnati che costituivano il Senato) e dalla piccola aristocrazia terriera (Camera dei Deputati). Il re, i senatori e i deputati, formavano insieme la Dieta generale (Sejm).
La morte di Sigismondo II Augusto (1572), privo di eredi, pose fine al potere della dinastia lituana degli Jagelloni. Il suo successore, Stefan Bathory (1533-1586), apparteneva a una nobile famiglia ungherese e fu eletto re di Polonia e Gran Duca di Lituania nel 1576. Dopo aver sposato Anna Jagellona, si dedicò molto alla Lituania fondando nel 1579 l’Accademia di Vilnius, che affidata ai gesuiti diede vita all’Università ed istituendo, nel 1581, il tribunale lituano. Strappando poi la Livonia ad Ivan il Terribile, rese più sicuri i confini settentrionali del Granducato.
Nel corso del XVII secolo fu realizzata una riforma agraria consolidando la pratica della servitù della gleba e introducendo il sistema della rotazione nelle coltivazioni. Oltre all’agricoltura crebbero e si potenziarono le città, si diffusero le idee dell’Umanesimo e della Riforma, vennero perfezionate le tecniche per stampare i libri e fu promulgato il Codice della Legge Lituana (o Statuto).
L’egemonia culturale e politica della Polonia comunque aumentò sensibilmente nel corso degli anni, tanto da ridurre la Lituania a semplice provincia del regno Polacco. I ripetuti conflitti contro russi e svedesi indebolirono la capacità di resistenza della Confederazione e Vilnius fu più volte devastata dagli invasori. Alla fine del XVIII secolo la Repubblica dei due Popoli cessò definitivamente di esistere con la sua spartizione tra Russia, Prussia ed Austria e la maggior parte della Lituania cadde sotto l’amministrazione zarista (1795).
La dominazione russa
Sotto gli zar la Lituania subì una intensa russificazione. Le numerose rivolte patriottiche furono represse molto duramente (1794, 1812, 1830-31, 1863, 1904) e i loro capi deportati in Siberia. L’Università di Vilnius fu chiusa (1832) e furono proibite le pubblicazioni in lingua lituana e polacca, importate clandestinamente dalla Prussia orientale.
Tra la fine del XIX secolo e la Prima Guerra Mondiale moltissimi lituani emigrarono all’estero, soprattutto in America, ma la forza delle tradizioni e del sentimento nazionale mantenne viva la coscienza di chi rimaneva in patria. I seminari cattolici diventarono centri sempre più importanti per la conservazione della cultura e della lingua lituana ed il progresso economico e industriale vide i lituani impegnarsi in prima persona per lo sviluppo del loro Paese.
Nel 1904 il governo zarista, per placare il malcontento diventato ormai insostenibile, decise di togliere il bando alle pubblicazioni in lingua lituana e l’anno successivo ne fu autorizzato l’uso nelle scuole private. Con lo scoppio della rivoluzione russa del 1905, la Lituania espulse molti funzionari e insegnanti e il 4 dicembre convocò a Vilnius la Prima Assemblea Nazionale, che elesse presidente il patriota Jonas Basanavicius e proclamò la sua indipendenza da Mosca. La risposta russa però non si fece attendere e soffocò dopo breve tempo la rivolta.
L’indipendenza
Con lo scoppio della Grande Guerra la Lituania nel 1915 fu occupata dai tedeschi. L’esercito invasore permise comunque la convocazione di una conferenza a Vilnius nel settembre del 1917, la quale elesse un Consiglio Nazionale (la Taryba) presieduto da Antanas Smetona. Il 16 febbraio del 1918 l’assemblea proclamò la restaurazione dell’indipendenza dello Stato lituano nonostante la presenza dei tedeschi con i quali fu costretta a raggiungere un compromesso.
La Germania era disposta a riconoscere la Lituania in cambio di precise garanzie economiche, militari e politiche. Quando infatti l’11 luglio fu eletto sovrano Guglielmo d’ Urach con il nome di Mindaugas II, la scelta non fu gradita alla Germania che si oppose fermamente. Subito dopo la sconfitta dei tedeschi i lituani proclamarono la Repubblica e Smetona diventò capo dello Stato. I due anni successivi furono molto duri per la nuova Lituania, che nel 1919 fu costretta a combattere i bolscevichi che avevano occupato il nord-est del Paese e a fronteggiare le mire polacche su Vilnius.
Sebbene fosse stato firmato nell’ottobre del 1920 un trattato con la Polonia, la Lituania dovette cedere non senza combattere la sua capitale (1922) e Governo e Parlamento si trasferirono a Kaunas. Il 12 luglio del 1920 era stato intanto firmato il trattato di pace con la Russia di Lenin, il quale riconosceva solennemente l’indipendenza della Lituania e della sua capitale Vilnius.
La Costituzione fu adottata il 1° agosto del 1922, con la proclamazione della Repubblica Parlamentare e presidente fu eletto A. Stulginskis. Nelle elezioni del 1926 ebbero la maggioranza i partiti di sinistra e divenne presidente Kazys Grinius ma il 17 dicembre un colpo di stato sciolse il Parlamento e portò al potere Augustinas Voldemaras, mentre alla presidenza fu nominato A. Smetona.
Nel 1928 fu emanata una nuova Costituzione che diminuiva di molto i poteri del Parlamento. L’anno successivo J. Tubelis fu nominato capo del Governo e Smetona rimase presidente. Intanto si facevano sempre più tesi i rapporti con la Germania che rivendicava il possesso della regione di Klaipeda (Memel). Il periodo tra le due guerre fu comunque di notevole sviluppo sia economico che culturale per la Lituania: nacquero numerose piccole e medie imprese agricole ed aumentarono le esportazioni soprattutto di bestiame, mentre l’industria realizzò importanti ristrutturazioni. La lingua e la letteratura nazionale ripreso vigore, così come le altre forme d’arte, favorite dall’apertura di scuole e di istituti statali e privati. In quegli anni la popolazione era composta per l’84% da lituani, il 7,6% da ebrei, il 3% da polacchi, il 2,4% da russi e l’1,5% da tedeschi.
L’invasione sovietica e la Seconda Guerra Mondiale
Mentre alla fine degli anni Trenta i rapporti tra la Repubblica Lituana, la Germania e l’URSS erano regolati da trattati di non aggressione e da normali relazioni economiche, il 23 agosto del ’39 le due potenze avevano stipulato tra loro un protocollo segreto, il cosiddetto Patto Molotov-Ribbentrop. Secondo quest’ultimo, che sanciva la spartizione della Polonia, in caso di guerra la Finlandia, l’Estonia e la Lettonia sarebbero state assegnate ai sovietici e la Lituania alla Germania.
In seguito il trattato venne modificato ed anche la Lituania passò sotto l’egemonia di Mosca in cambio di 7,5 milioni di dollari in oro e di una regione polacca (28 settembre 1939). Già nel corso della guerra dei tedeschi contro la Polonia i sovietici avevano ottenuto di disporre in Lituania oltre 20 mila uomini dell’Armata Rossa (1939); ma il 14 giugno del 1940 Mosca impose un ultimatum alla repubblica baltica: formare un nuovo governo ed accogliere altre divisioni sovietiche sul suo territorio. La Lituania fu costretta a soccombere ed il 15 giugno altri 100 mila soldati passarono il confine ed occuparono il Paese.
Due giorni più tardi il rappresentante di Mosca V. Dekanozov istituì un Governo del Popolo con a capo J. Paleckis; il 15 luglio le elezioni organizzate dai sovietici formarono l’Assemblea del Popolo che il 21 luglio proclamò la Repubblica Socialista. Nell’agosto dello stesso anno fu infine ufficializzato l’ingresso del Paese nell’Unione Sovietica. Durante quei mesi oltre 12 mila persone furono deportate in Siberia e più di 3 mila vennero arrestate per attività antisovietiche.
Allo scoppio della guerra tra la Germania e l’URSS (22 giugno 1941), seguì l’immediata reazione dei lituani contro l’occupazione del loro Paese. Gli insorti crearono un governo provvisorio che però non fu riconosciuto dalla Germania, la quale occupò a sua volta la Lituania, trasformandola in un distretto tedesco (Ostland) e rimanendovi fino al 1944. La dominazione nazista fu molto dura per il popolo lituano, soprattutto per i numerosi ebrei che da secoli abitavano quelle terre.
Il secondo dopoguerra
Nell’estate del 1944 l’Armata Rossa respinse i tedeschi ed occupò la Lituania ma l’ordine sovietico fu ristabilito con una certa difficoltà. Fino al 1953 si susseguirono molti interventi repressivi per sconfiggere la resistenza lituana e la guerriglia dei partigiani baltici. Conosciuti con il nome di “Fratelli del bosco”, i patrioti si batterono nel tentativo di impedire le massicce deportazioni. L’uomo forte della Lituania sovietica divenne Antanas Snieckus, segretario del Partito Comunista Lituano dal 1940 al 1974.
Fino alla fine degli anni Settanta la Lituania fu caratterizzata da una crescente integrazione nel sistema economico ed industriale sovietico. Le vecchie fabbriche alimentari e del legno furono potenziate e nacquero le industrie pesanti : metallurgiche, meccaniche e petrolchimiche. Il livello tecnologico delle aziende lituane era mediamente superiore a quello delle altre industrie dell’Europa dell’Est, ma gli aspetti sociali ed ecologici di questo tipo di sviluppo furono del tutto trascurati.
Anche le città crebbero moltissimo e la popolazione urbana passò dal 39 per cento (1960) a quasi il 70 per cento. La collettivizzazione dell’agricoltura portò all’abolizione totale della proprietà privata delle terre. La Lituania in questo periodo conobbe anche un buon incremento demografico (nel 1979 furono registrati quasi 4 milioni di abitanti) dovuto solo in parte all’immigrazione.
A differenza degli altri due Paesi Baltici, la russificazione in Lituania è stata infatti molto meno massiccia (il 9 per cento di russi nel 1990 rispetto al 2,5 per cento del primo dopoguerra) e il paese ha così sempre mantenuto una certa omogeneità etnica. Il parziale decentramento economico voluto da Krusciov dopo il 1956 e continuato nei decenni successivi portò dei buoni risultati nel Baltico, dove i salari divennero più alti e le condizioni di vita migliori rispetto ad altre zone dell’URSS. La buona produzione agricola e dell’allevamento completava il quadro di un relativo benessere economico, sebbene il fabbisogno energetico fosse quasi completamente dipendente da Mosca. Crebbe il numero delle scuole e degli studenti, degli istituti di ricerca e dei laboratori scientifici e la vita culturale si sviluppò notevolmente; la mancanza delle libertà democratiche ha comunque pesato molto sulla creatività degli artisti e degli uomini di cultura.
Fino alla metà del 1988 tutte le attività politiche, economiche e culturali sono state controllate e dirette dal Partito Comunista Lituano, membro a tutti gli effetti del Partito Comunista dell’URSS. Alla fine degli anni Cinquanta i lituani erano in netta minoranza in seno al PCL rispetto ai russi (nel 1947 costituivano solo il 18 per cento del partito); ma nel corso degli anni furono sempre di più coloro che confluirono nel partito, fino a raggiungere il 70 per cento del totale nel 1986.
Gli anni della perestrojka e del distacco da Mosca
Il programma di riforma portato avanti da Gorbaciov in URSS trovò in Lituania numerosi sostenitori. Anche qui come in Estonia e in Lettonia l’opinione pubblica iniziò ad organizzarsi a sostegno della “perestrojka” e di maggiori diritti democratici e nazionali. Nell’ottobre del 1988 intellettuali, politici e semplici cittadini diedero vita al movimento per le riforme denominato Sajudis, che intendeva fare pressioni su Mosca e sulle comunità internazionali per il riconoscimento della Lituania come Stato indipendente. Già il 7 e il 9 ottobre sia a Vilnius che a Kaunas, il Sajudis aveva organizzato delle cerimonie in cui veniva issata la bandiera lituana al suono dell’inno nazionale.
Dopo altre manifestazioni popolari e in un clima di tensione politica sempre crescente, il 19 ottobre il segretario del PCL Rimgaudas Songaila fu sostituito da Algirdas Brazauskas, un riformatore che aveva più volte partecipato alle riunioni del Sajudis. Pochi giorni dopo all’interno del palazzo dello sport di Vilnius si tenne il congresso di fondazione del Sajudis come movimento politico organizzato. Intanto sotto la spinta dei moti popolari, il governo comunista lituano decise una serie di concessioni al movimento : il ripristino della bandiera e dei simboli nazionali, l’uso del lituano come lingua ufficiale, la celebrazione della Festa Nazionale del 16 febbraio e la riapertura al culto della cattedrale di Vilnius e delle altre chiese trasformate in musei dal partito comunista.
Ormai molti membri del PCL appoggiavano le idee del Sajudis che il 20 novembre dello stesso anno adottò per la prima volta una dichiarazione d’indipendenza morale da Mosca. Nel 1989 continuò a crescere al spinta popolare a favore dell’indipendenza ed il 5 febbraio una folla immensa si strinse intorno al Cardinale Sladkevicius in occasione della riconsacrazione della cattedrale. Il 23 agosto una grande manifestazione coinvolse tutto il Baltico, quando una lunghissima catena umana attraversò longitudinalmente tutte e tre le Repubbliche da Tallinn a Vilnius. Le elezioni per la nomina dei deputati del popolo nel Parlamento sovietico avvenute il 9 aprile avevano visto la netta vittoria dei candidati del Sajudis, i quali ottennero ben 36 seggi sui 42 riservati alla Lituania.
Nel dicembre del 1989 avvenne poi il definitivo distacco del PCL guidato da Brazauskas dal PCUS. Tale decisione provocò una scissione all’interno dei comunisti lituani, tanto che il partito di Brazauskas nel 1990 decise di cambiare il suo nome in Partito Democratico Lituano. Dopo la vittoria del Sajudis alle elezioni del Soviet Supremo della Lituania, il leader del movimento Vytautas Landsbergis fu nominato presidente del nuovo Parlamento (il Consiglio Supremo): l’11 marzo l’assemblea proclamò l’indipendenza della Repubblica dall’URSS. La storica decisione del Parlamento non fu però accettata da Mosca, che dopo aver chiesto ufficialmente di revocare quell’atto di separazione, intervenne con una serie di sanzioni economiche contro la Lituania, accompagnate da alcune operazioni militari.
Tra l’11 ed il 13 gennaio del 1991, le truppe sovietiche occuparono alcuni edifici (tra cui la sede della televisione ed il centro stampa) e le principali vie di accesso a Vilnius. Negli scontri morirono 14 persone ed altre 200 restarono ferite ma i lituani riuscirono a difendere il loro Parlamento. La tensione rimase alta anche nelle settimane successive, nonostante la ripresa del dialogo tra Vilnius e Mosca. In risposta al referendum indetto da Gorbaciov per il 17 marzo, in cui tutti i cittadini avrebbero dovuto pronunciarsi sul mantenimento dell’Unione Sovietica, i lituani organizzarono il 9 febbraio un loro referendum a favore o contro la Repubblica indipendente. I voti a favore furono schiaccianti (79,9 per cento), ma Mosca non ne volle riconoscere il valore giuridico.
Alcuni incidenti alle frontiere (maggio e giugno) fecero temere il precipitare della situazione ed il 19 agosto a Vilnius i palazzi della televisione e dei telefoni furono nuovamente presi d’assalto dalle truppe speciali sovietiche. La grave situazione ebbe però una svolta repentina il 21 agosto, quando la notizia del colpo di stato a Mosca iniziò a fare il giro del mondo. Il giorno successivo il PCL venne dichiarato fuorilegge dal Consiglio Supremo e tutti i suoi beni confiscati. L’esercito sovietico abbandonò gli edifici occupati da gennaio ad agosto.
Il 2 settembre gli USA riconobbero ufficialmente le tre Repubbliche Baltiche ed il 6 settembre fece lo stesso il parlamento russo.
L’entusiasmo dei lituani per il ritorno dell’indipendenza e della democrazia si è però dovuto presto scontrare con una crisi economica di grandi proporzioni. La dipendenza energetica da Mosca ha creato enormi problemi dopo l’abolizione del prezzo politico del petrolio e dell’elettricità. Quasi un terzo delle aziende è stato costretto in pochi mesi alla chiusura ed i beni di prima necessità hanno cominciato ad essere razionati, soprattutto nelle grandi città.
Un altro problema che si è subito evidenziato è stato quello del ritiro dei circa 40 mila uomini dell’Armata Rossa presenti in Lituania: un’operazione con risvolti sociali e politici oltre che militari. I primi accordi con la nuova Russia di Boris Eltsin prevedevano lo smantellamento completo entro il 1993, ma successive prese di posizione hanno fatto presagire un ritiro di gran lunga più lento e macchinoso. È stato in questo clima difficile che nell’ottobre del 1992 furono indette le prime elezioni multipartitiche del dopoguerra. La vittoria nella consultazione popolare andò a sorpresa al Partito Democratico del lavoro guidato da Algirdas Brazauskas che sconfisse il Sajudis di Vytautas Landsbergis.
I demolaburisti si aggiudicarono infatti 80 seggi sui 141 del Parlamento (Seimas), contro i 26 candidati al Sajudis, i 13 dei democristiani e i rimanenti ai partiti minori liberali e di centro-destra. Contemporaneamente alle elezioni politiche i cittadini lituani votarono anche la nuova Costituzione democratica, che prevedeva una repubblica di tipo semi-presidenziale, con poteri equamente ripartiti tra Capo dello Stato, Governo e Parlamento.
Agli inizi del 1993 Brazauskas fu eletto presidente della Repubblica e il 10 marzo entrò in carica il governo del primo ministro Adolfas Slezevicius. Nel maggio dello stesso anno la Lituania e l’Estonia furono i primi due Paesi dell’ex Unione Sovietica ad entrare a far parte del Consiglio d’Europa.
Nell’agosto del 1993 si concluse il lento e contrastato ritiro degli ultimi soldati russi dal territorio lituano e il 27 gennaio del 1994 fu firmato l’accordo di partnership tra la Lituania e gli altri Paesi membri della NATO. Il 12 giugno del 1995 fu invece sottoscritto l’accordo di associazione della Lituania all’Unione europea entro il 2001.
Nel 1998 Valdas Adamkus, funzionario dell’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti viene eletto Presidente della Repubblica e nello stesso anno la Lituania diviene Membro Associato dell’Unione europea. Nel 2001 diventa il 141 membro dell’Organizzazione del Commercio mondiale.
Nel 2002 la Lituania viene invitata ad iniziare i negoziati di accesso alla NATO e nel 2003 un uomo di affari e leader del Partito democratico, Rolandas Paksas, è eletto Presidente a cui succede poi con il suo secondo mandato presidenziale Valdas Adamkus.
Dal maggio del 2004 la Lituania diventa ufficialmente stato membro della Unione Europea e nel marzo dello stesso anno anche della NATO. Poco dopo fallisce l’aggancio alla zona euro a causa dell’inflazione e punta ora al 2010.
Nel Dicembre del 2007 entra a far parte insieme a Slovenia, Estonia, Lettonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Malta della zona Schengen.
Nel 2009, in occasione del millenario dalla prima citazione del nome Lituania, Vilnius viene eletta capitale europea della cultura.