C’è solo l’imbarazzo della scelta, se si vuole verificare i non proprio amichevoli ricordi che, ancora oggi, i lituani hanno dell’ex Unione Sovietica. Volete metterla sul piano della religione e della spiritualità? E’ sufficiente prendere un’auto e recarsi, una decina di chilometri fuori Šiauliai – città del Nord che è una delle sedi del campionato europeo di basket in corso in questi giorni – alla famosa Collina delle Croci. Su un bozzo minimo del terreno, a fianco della strada che conduce a Riga e in Lettonia, hanno collocato circa 60 mila croci, di ogni forma, dimensione e materiale. Affiancate o accatastate, ciascuno a ridosso delle altre, assieme a rosari, statue e altri oggetti di culto. E’ una testimonianza della fede di un Paese che, per il 79% della popolazione, è di fede cattolica; ed è un simbolo di protesta, se vogliamo, nei confronti di un passato nel quale l’intransigenza del regime comunista aveva fatto che sì che la collina fosse spogliata. Le croci di legno furono bruciate, quelle di ferro fuse, quelle di altri materiali rimosse e distrutte. Ma dopo il crollo dell’Urss, la collina è tornata come prima. Protetta oggi dall’Unesco, benedetta dalla visita di Papa Giovanni Paolo II nel 1993 e definita «l’araba fenice della coscienza religiosa lituana», la montagnetta continua ad essere un cuneo nella storia e un simbolo di ribellione.
Invece è diverso – e unico – quanto capita a ridosso di Vilnius. Volete trascorrere mezza giornata da autentici comunisti, ma accettando anche angherie e durezze? Eccovi accontentati. A venticinque chilometri dalla capitale, cinque metri sotto terra, c’è un bunker di tremila metri quadrati, su due livelli, che avrebbe dovuto ospitare una stazione televisiva nel caso di un attacco nucleare degli Usa durante la Guerra Fredda. Ma il conflitto (fortunatamente) non ci fu mai e i sovietici, sancita nel 1991 l’indipendenza lituana, levarono definitivamente le tende. Di qui l’idea. Demolire quella tana di cemento armato? Ma no. Meglio farla fruttare e farla «lavorare» a scopo turistico. L’offerta è davvero speciale (date un’occhiata anche al sito): siete riportati indietro nel tempo, precisamente al 1984, e venite tuffati in quello che fu il lifestyle sovietico. Le visite sono guidate, a gruppi di 25; ma è possibile, con un sovrapprezzo, prenotarsi per un tour singolo.
Questo Camel Trophy all’interno degli schemi e delle imposizioni dell’odiata dittatura comincia con l’accoglienza da parte di un gruppo di figuranti in perfetta tenuta militare dell’Urss, con tanto di cani ringhianti che fiutano e ispezionano i «candidati». All’ingresso, dopo l’alzabandiera e dopo aver ascoltato l’Internazionale, si deve depositare tutto quello che si possiede, cellulare e portafoglio inclusi. Non è nemmeno contemplato che si commenti ad alta voce, o che si rida: la guardia infliggerà immediatamente una punizione, di solito un esercizio ginnico in condizioni disagiate. Nel bunker, dove l’umidità aggredisce le ossa, si procede per varie stanze a tema: quella della visita medica (con strumenti non proprio moderni); quella nella quale si deve indossare una maschera antigas (e guai a non farlo: arrivano le cinghiate); quella nella quale si è interrogati dal KGB, accusati dei reati peggiori; quella del refettorio nel quale si può mangiare solo robaccia in scatola e bere vodka.
La libertà giunge dopo un’ultima esperienza al buio pesto, che cala per un quarto d’ora proprio nel momento in cui uno crede di aver terminato. Il premio, a parte riprendersi i propri effetti e rimediare un gadget originale dell’ex Urss, è un certificato che attesta di aver superato con successo e profitto questa giornata nel soviet drama. Costo dell’escursione nella storia? 1500 litas (450 euro, più o meno) per il gruppo di 25, dunque 18 euro a cranio. Non è molto, la curiosità e la singolarità dell’iniziativa valgono abbondantemente la spesa. Ma, concettualmente, la giornata nel bunker ricorda un po’ la scelta di colui che chiede a un cannibale di mangiarlo. Pagando pure, in questo caso. Provare per credere, ad ogni modo…